Sembra che non si fermi mai la corsa a nuovi vigneti nell’area Docg delle colline del Prosecco. Capita di incontrare nell’area Docg, delle aree prative o boschive che, anche di recente, sono state oggetto di trasformazione della loro "funzione agricolo-forestale" con interventi che alterano il difficile rapporto di convivenza fra boschi, prati, vigneti, a favore dell’espansione di questi ultimi.
Davanti a simili "interventi agricolo-forestali" cosa c’è oggi di di diverso rispetto al passato recente che ha visto, incentivata dalla Regione con 83.400.000 euro dal 2011 al 2017 (Fonte Avepa), l’espansione di una monocoltura intensiva?
C’è di diverso che nel luglio 2019 l’area è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità e che l’Icomos (Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti), organo consultivo dell'Unesco, aveva "raccomandato" alle istituzioni, per potersi fregiare del titolo di Patrimonio dell'Umanità, il rispetto di 14 impegni gestionali (prescrizioni), uno dei quali era il seguente: chiarire l’estensione dell’area di impegno (in ettari). Il Disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata e Garantita della Regione Veneto indica in 13,5 tonnellate di prodotto per ettaro la massima produzione consentita di Prosecco Docg: resta da verificare se tale soglia nella produzione di prosecco sia stata raggiunta dalle 102 milioni di bottiglie (Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, dati 2022) in un'area che occupa 8674 ettari (Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Docg, dati 2022) e superi la soglia indicata dal “Disciplinare di produzione dei vini Docg” della Regione Veneto.
Tra l’altro, quel vigneto, piantato in una zona umida non vocata per microclima e composizione del terreno, è maggiormente esposto all’attacco di parassiti e di conseguenza richiederà un maggior uso di pesticidi. Fa specie leggere a pag. 46 del volumetto a colori in carta lucida spedito a reti unificate a tutti i cittadini veneti per celebrare la proclamazione delle colline del Prosecco a Patrimonio dell'Umanità: «facendo salvi il paesaggio e la biodiversità che sono state conservate nei secoli, impostando un impianto agrario fatto di piccole particelle di terra dedite a coltivazione, inserite in una rete ecologica di boschi, siepi e prati, unica al mondo». Come fa specie leggere a pag. 28 di tale costoso volumetto pubblicitario: «la capacità dell’uomo di adattarsi e permettere al territorio di evolversi senza alterare le componenti geomorfologiche delle dorsali e la biodiversità».
La verità è un’altra: basta posare uno "sguardo ribelle" su una narrazione artefatta dal "marketing territoriale". La monocoltura intensiva del Prosecco ha spazzato via le altre colture e con esse le tradizioni di "vita contadina" radicate nel tempo. Basta entrare in una di quelle casere, che si vogliono trasformare in dipendenze di albergo diffuso, per notare la mangiatoia per le mucche, il fienile e altri segni di una "piccola agricoltura contadina", dove prati per la fienagione, colture come il mais, il grano, davano vita ad una "economia di sussistenza" e costituivano un’anticipazione di quella "sovranità alimentare" che oggi si invoca, ma solo a parole. Per non parlare dei "mulini da grano tenero e da granoturco" un tempo presenti in alcuni borghi e comuni della core zone e funzionanti fino agli anni 60.
I promotori della candidatura Unesco hanno estromesso questo passato dalla loro narrazione, troppo impegnati a costruire l’immagine pubblicitaria di una viticoltura bucolica, usando a sproposito il termine "eroico" per una viticoltura oggi più che mai industrializzata, meccanizzata, che si avvale di braccianti extracomunitari, di imprese di movimento terra che con ruspe e bobcat sono in grado di impiantare, favorendo l’erosione del suolo, un "vigneto chiavi in mano". Ma il passato agricolo delle colline dove la viticoltura era su piccola scala, a uso famigliare, non era sfuggito a Icomos se nel 2018 aveva bocciato la richiesta di inserire le colline del Prosecco nella lista dei siti Unesco, sostenendo che non presentavano le caratteristiche di "unicità" necessarie a renderle Patrimonio dell'Umanità e come, proprio l’eccessiva coltivazione di vigneti aveva compromesso il paesaggio originario.
L’espansione imperialistica della "glera" e l’uso intensivo della chimica di sintesi in un modello di agricoltura industriale avevano quindi portato Icomos nel 2018 alla bocciatura della candidatura. Il dissenso di Icomos è stato superato dall’Unesco, in sede politica, attraverso la trasformazione del dissenso di Icomos in "14 prescrizioni stringenti", mentre una "quindicesima raccomandazione", che stabiliva l’obbligo di informare il World Heritage dei principali progetti che potrebbero avere un impatto sull’area, è stata omessa nel Rapporto del World Heritage Centre di Parigi. Qui si tratta di stabilire se un territorio, per la sua unicità ambientale, etnografica, antropologica, paesaggistica, storica, merita tale "prestigiosa proclamazione" di notevole risonanza internazionale. Nel caso delle colline del Prosecco tale "etichetta internazionale" dovrebbe essere almeno subordinata, alla luce della documentazione ufficiale di Unesco, al rispetto delle "14 prescrizioni", pena la revoca dell’egida di Unesco. Un po’ come per la patente che può essere revocata in caso di gravi inadempienze del Codice della Strada.
Inoltre, a tre anni dalla proclamazione delle colline del Prosecco a Patrimonio dell'Umanità, a preoccupare è anche il rischio che i fattori produttivi ed economici legati all’aumento del flusso turistico (i 400 mila visitatori attuali potrebbero raddoppiare nel giro di 5 anni) possano generare drastici cambiamenti nell’ambiente, inteso come "area vasta" e compromettano la stabilità ecosistemica dell'area. È un po’ quello che sta accadendo, con modalità diverse, ad altri siti Unesco come le Dolomiti (con progetti di nuovi impianti, di nuove infrastrutture e l’organizzazione delle Olimpiadi invernali) e Venezia, dove i veneziani sono costretti a fuggire dall’assedio turistico di massa e dalla proliferazione di locazioni turistiche a scapito della residenzialita.
L'appiattimento dialettico e culturale (solo il Pesticide Action Network Italia e i gruppi locali che si battono da anni contro l’uso eccessivo di pesticidi hanno preso una posizione contraria estremamente fondata e motivata) nel dibattito sull’esistenza o meno dei requisiti ambientali, antropologici e storici utili al riconoscimento delle colline del Prosecco come sito Unesco, e il poderoso finanziamento con soldi pubblici che ha accompagnato il pluriennale processo di candidatura (iniziato nel 2009), rischiano di affossare anche elementari principi di partecipazione e di democrazia e per questo, l'Unesco va coinvolto nella denuncia e nel monitoraggio di quello che sta accadendo sui territori della core zone e sul rispetto delle "14 prescrizioni".
Diversamente, la proclamazione a Patrimonio dell'Umanità dell’area collinare diventa solo un’operazione di "marketing territoriale" per lo sfruttamento commerciale di un'etichetta, priva di quel "valore umanitario" tanto strombazzato.
Dante Schiavon