Il dossier Stop Pesticidi 2021, realizzato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero, come ogni anno, fotografa la situazione in Italia in merito all’utilizzo di pesticidi in ambito agricolo. Nella Penisola, l’impiego di sostanze chimiche di sintesi, utilizzate per proteggersi da piante infestanti, insetti, funghi e dal possibile sviluppo di malattie biotiche, è ancora estremamente diffuso, nonostante sia possibile ricorrere a tecniche di intervento o prevenzione alternative, tra cui l’applicazione di corrette pratiche di gestione agronomica, l’utilizzo di organismi competitori e di fitofarmaci di origine naturale.
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Il 35,32% dei campioni regolari esaminati presentano uno o più residui di pesticidi, seppur nei limiti di legge. Contate circa 97 sostanze attive differenti. Un campione di pere con 12 residui, uno di ciliegie con 10 residui, uno di prugna con 9 residui.
La frutta si conferma la categoria più interessata. Oltre il 50% dei campioni contiene uno o più residui. Tra questi, l’uva da tavola (85,71%), le pere (82,14%), le fragole (71,79%) e le pesche (67,39%).
Tra gli alimenti trasformati, il vino e il miele sono quelli con maggior percentuali di residui permessi, contando rispettivamente circa il 39,90% e il 20%.
Legambiente: “Urgente approvare quanto prima la legge sul biologico, adottare il PAN, il Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e un Piano strategico Nazionale per l’applicazione della PAC che abbia come obbiettivo principale la forte riduzione della chimica di sintesi in agricoltura”.
L’Italia, pur assistendo nel corso degli anni ad una diminuzione dell’impiego dei pesticidi, continua a registrare un utilizzo ancora significativo di molecole chimiche di sintesi in agricoltura. A fotografare la situazione, è il nuovo dossier Stop Pesticidi 2021, realizzato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero, che ha preso in considerazione 2.519 campioni di alimenti di origine vegetale, includendo anche i prodotti derivati da apicoltura, pur se non appartenenti propriamente alla categoria, di provenienza italiana ed estera.
Dal dossier, che raccoglie i dati del 2020, nonostante emerga una percentuale bassa di campioni irregolari, cioè con principi attivi oltre le soglie consentite pari all’1,39% di quelli totali, c’è da dire che solo il 63% di campioni analizzati è regolare e senza residui di pesticidi. A preoccupare è il restante 35%, relativo a quei campioni regolari ma contenenti uno o più residui di pestidici, seppur nei limiti di legge. Contate 97 sostanze attive differenti: un campione di pere con 12 residui, uno di ciliegie con 10 residui, uno di prugna con 9 residui, quest’ultimo considerato irregolare a causa del superamento dei limiti imposti (deltamethrin) e per utilizzo di sostanze non autorizzate (dimethoate e omethoate).
In linea con il trend degli anni passati, la frutta si conferma la categoria in cui si concentra la percentuale maggiore di campioni regolari con uno o più residui, osservando come nel 53,59% dei casi sono presenti tracce di almeno una sostanza attiva. In questa categoria, gli alimenti che presentano una maggior presenza di fitofarmaci sono l’uva da tavola (85,71%), le pere (82,14%), le fragole (71,79%) e le pesche (67,39%). Questi sono anche i prodotti a maggior contenuto di multiresiduo, che rappresentano rispettivamente il 64,29%, 71,43%, 55,13% e 54,35% dei campioni analizzati. Le maggiori irregolarità sono descritte da campioni di agrumi (3,47%), piccoli frutti (4,44%) e frutta esotica (3,13%).
Nella verdura si osserva una maggior quantità di alimenti regolari senza residui (73,81%), con solo poche tipologie che presentano elevate quantità di fitofarmaci come pomodori (60,20%) e peperoni (48,15%) che risultano tra i più colpiti. Nonostante sia rappresentata da una discreta percentuale di prodotti non contaminati da alcun tipo di pesticida, questa categoria è quella che contiene il maggior numero di irregolarità (1,70% dei campioni totali appartenenti alla suddetta), con campioni di peperoni che addirittura raggiungono il 7,41% tra quelli analizzati. Tra gli alimenti trasformati, invece, il vino e il miele sono quelli con maggior percentuali di residui permessi, contando rispettivamente circa il 39,90% e il 20%.
“Alla luce dei dati emersi dal dossier “Stop pesticidi 2021” – ha spiegato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente – dobbiamo adoperarci per raggiungere obiettivi sempre più sfidanti, sollecitando i decisori politici nazionali e comunitari a mettere in atto politiche incentivanti, come indicato con chiarezza dalle strategie Farm to Fork e Biodiversità che entro il 2030 prevedono: riduzione del 50% dei pesticidi, riduzione del 20% dei fertilizzanti, riduzione del 50% degli antibiotici, raggiungimento del 10% delle aree agricole destinate ai corridoi ecologici e del 25% di superficie coltivata a biologico in Europa.
“Dal punto di vista normativo – aggiunge il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti – è fortemente necessaria l’approvazione della legge sul biologico che è ancora ferma, purtroppo, alla Camera e che darebbe un impulso significativo all’intero settore, puntando senza indugi verso l’aumento delle superfici coltivate secondo questo metodo e ponendoci l’ambizioso obiettivo di raggiungere il 40% entro il 2030. Così come l’adozione del PAN, ossia il Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, un tassello normativo fondamentale per ridurre l’utilizzo della chimica di sintesi, salvaguardare la biodiversità e rispettare i target definiti delle strategie europee per la riduzione dei pesticidi, senza dimenticare la revisione della direttiva comunitaria per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, per evitare deroghe all’utilizzo di principi attivi vietati per la loro tossicità sull’uomo e sulla fauna selvatica, ma concesse con una certa frequenza a numerosi Stati membri.
Tornando al dossier, i pesticidi più abbandonati sono in prevalenza fungicidi e insetticidi, in particolare, in ordine decrescente: boscalid, acetamiprid, metalaxil, fludioxonil e dimethomorph. Degna di nota è la presenza di residui di thiacloprid rinvenuti su campioni di miele (2 campioni), lamponi, melograno, mirtilli, mele (5 campioni), pere, pesche (2 campioni) e tè verde, così come tracce di imidacloprid sono state rinvenute in campioni di peperoni e tè verde. Queste due sostanze attive sono particolarmente pericolose per la salute delle api e il loro impiego non è più consentito dai Reg. CE 2020/23 (thiacloprid) e Reg. CE 2020/1643 (imidacloprid) la cui data di entrata in vigore potrebbe aver permesso l’accettabilità dei campioni. Nonostante la presenza totale di campioni non autorizzati sia bassa, sono state osservate irregolarità nelle categorie ortofrutticole. La causa è da attribuire principalmente al superamento del limite massimo di residuo per tutti i campioni considerati dove il dimethoate rappresenta la sostanza con maggiori irregolarità.
Presenza fitofarmaci
I dati raccolti nel dossier evidenziano con chiarezza un aspetto, la presenza di fitofarmaci è ancora troppo diffusa negli alimenti italiani ed europei. Come è stato evidenziato nel rapporto, in alcuni campioni alimentari sono addirittura state rinvenute sostanze altamente tossiche. Tra queste, continua a comparire il chlorpyrifos-methyl, il cui utilizzo è stato finalmente vietato nel 2020 dall’Unione europea, ma che l’Italia continua ad adoperare per contrastare gli effetti della cimice asiatica, chiedendo specifiche deroghe per coltivazioni più a rischio, tra cui melo, pero, pesco, nettarine, noce e nocciolo. Sono state, inoltre, rinvenute tracce della sostanza attiva thiophanate-methyl, messa al bando a seguito delle perplessità sollevate da EFSA in merito a lacune nei dati forniti per la valutazione. Riflettori accesi anche sulle tracce di mancozeb, un fungicida ad ampio spettro che causa effetti tossici per la riproduzione e per il sistema endocrino degli esseri umani a causa delle stime di esposizione non alimentare che superano i valori di riferimento per gli impieghi nei pomodori, nelle patate, nei cereali e nelle viti. Ciò, qualora ce ne fosse stato bisogno, conferma il fatto che la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori impiegati nelle attività di produzione non sono sempre rispettate.
Buone Notizie
Infine nel dossier Legambiente ricorda anche alcune buone notizie legate all’avanzamento di ricerca, alla sperimentazione e all’utilizzo di tecnologie innovative per innalzare l’asticella dell’integrato, riducendo gli input negativi, dall’altra, i dati sul biologico, considerato dai consumatori anche nel 2020 uno strumento di salvaguardia della salute collettiva. Il biologico italiano, peraltro, sta acquisendo sempre maggiore credibilità sui mercati nazionali ed internazionali. L’incremento dal 2012 al 2021 della percentuale di famiglie che scelgono il bio è fortemente positivo. Sono 23 milioni i nuclei familiari che hanno acquistato bio almeno una volta nell’ultimo anno. Ad avvicinarsi ai prodotti biologici non sono solo le persone che adottano uno stile di vita salutista (76% della categoria) ma anche famiglie con figli di età inferiore ai 12 anni (62% della categoria) e persone con alti livelli di istruzione come laurea, dottorato o master (59% della categoria). Un dato di estrema rilevanza rispetto a come sta cambiando la percezione del biologico viene proprio dai giovani, i cosiddetti millennials, che ricercano, in un rapporto maggiore del 50%, prodotti provenienti da questa filiera.
Nota metodologica dossier Stop pesticidi
Il dossier di Legambiente Stop Pesticidi 2021 riporta i dati elaborati nel 2020 dai laboratori pubblici italiani accreditati per il controllo ufficiale dei residui di prodotti fitosanitari negli alimenti. Tali strutture hanno inviato i risultati di 2.519 campioni di alimenti di origine vegetale, includendo anche i prodotti derivati da apicoltura, anche se non appartenenti propriamente alla categoria, di provenienza italiana ed estera. L’elaborazione dei dati prevede la loro distinzione in frutta, verdura, trasformati e altre matrici.
Fonte: Legambiente - 17.12.2021