Grazie ai nostri parroci.
Noi famiglie di Premaor ringraziamo sentitamente e dal profondo i parroci dell’Unità Pastorale dell’Abbazia per la vicinanza e la solidarietà che ci hanno voluto manifestare.
E li ringraziamo di più ancora perché hanno voluto rendere pubblico il loro punto di vista su quello che sta succedendo nel nostro territorio, con coraggio, con chiarezza, con linguaggio cristiano.
La loro è una voce speciale, non solo per i credenti, ma per tutti: è la voce di uomini che hanno consacrato la vita alla cura delle anime, all’accompagnamento delle persone, alla condivisione dei percorsi di vita, nella luce del Vangelo di Gesù Cristo.
Per questo ci stupiscono e ci amareggiano gli attacchi che sentiamo giungere alla loro lettera da più parti, quasi da ogni parte: da vari amministratori, rappresentanti di categoria, operatori. E poi ci addolora il silenzio, il silenzio enorme della massa, quel silenzio che non sai mai cosa significhi, cosa sia.
Eppure la lettera parla di valori cristiani, non fa altro che ripeterli e declinarli nella nostra situazione concreta; dà voce alle preoccupazioni e alle sofferenze che tanti vivono e che un prete conosce, perché “pastore di anime”, abituato ad ascoltare, accogliere, custodire; racconta cosa sia una comunità e come la si tenga unita, con la voce e le parole di uomini, i nostri parroci, che hanno consacrato la loro vita alla comunità, uomini del popolo e per il popolo; quella lettera non fa altro che insegnare e dar vita, infine, qui e ora, alla dottrina sociale della Chiesa, quella dottrina che da sempre si scontra con i grandi interessi, quando questi soffocano i valori e mortificano le persone.
La lettera parla con chiarezza del primato della persona umana e della vita su tutto, indiscutibilmente, così come indiscutibilmente è stato affermato nel Vangelo da Gesù di Nazareth. Cosa dovevano dire di diverso i preti? Tacere anche loro, non parlare più del Vangelo?
Ci addolora allora che questo Vangelo venga così tanto e così violentemente rifiutato, quando va a toccare gli interessi di molti. Ci addolora che il linguaggio cristiano non venga più riconosciuto, anzi lo si consideri un ostacolo, quasi un nemico, quando si mette di traverso agli affari.
La Laudato Sì di papa Francesco non dice cose diverse dalla lettera dei nostri parroci. Anzi in vari passaggi è molto più forte e netta. Eppure non abbiamo sentito il coro delle categorie scagliarsi contro il papa. Di certo è più facile puntare il dito contro il pesce piccolo, il curato di campagna. “Niente di nuovo sotto il sole”, direbbe il Qoelet.
Sembra quasi che qui, in questo nostro territorio, la sofferenza vada nascosta, non possa più esser detta, raccontata. Dia fastidio. Tutto deve essere bello, splendente, un patrimonio da cartolina. Non è così. E i preti, che ascoltano le anime, le accompagnano, le amano, lo sanno.
Dialoghiamo insieme, come è stato chiesto da più parti. Sì dialoghiamo, ma con la disponibilità a riconoscere quello che non va e a non ridurre le sofferenze delle persone a fantasmi mentali o a paturnie psicologiche, come qualcuno sta tentando di fare. C’è un’antologia di fatti ben precisi che possiamo raccontare e testimoniare, fatti, non fantasmi. Se qualcuno, oltre ai preti, avesse la buona volontà di ascoltare.
Noi siamo qui e vi aspettiamo.